GLI ATTACCHI ISCHEMICI TRANSITORI
Contenuti principali
Va inoltre considerato che in moltissimi casi la sintomatologia clinica è dovuta al concorrere di due o più meccanismi patogenetici.
- Fenomeni di furto di arterie extracerebrali (essenzialmente furto della succlavia ) eventualmente associati a stenosi di altri distretti vascolari.
- Ipotensione ortostatica idiopatica o conseguente a trattamenti farmacologici (farmaci antipertensivi, antidepressivi triciclici, farmaci antiparkinsoniani).
- Bradi-tachiaritmia in pazienti con cardiopatie coronariche. Queste affezioni sembrano dare più facilmente sintomi globale da diminuita perfusioe (sincopi) che manifestazioni focali.
- Stenosi aortica e insufficienza ventricolare sinistra soprattutto in condizioni di aumentate richieste metaboliche (esercizio fisico). Anche in questo caso i quadri di sofferenza cerebrale globale sono più frequenti di quelli focali.
- Il vasospasmo, considerato un tempo il meccanismo patogenetico più frequente , è oggi alquanto svalutato come fattore patogenetico. Nei pazienti con ipertensione arteriosa grave esso va tenuto presente specie come causa di spasmi di arterie retiniche con riduzione transitoria concentrica del campo visivo, diversa dall’amaurosi totale che si osserva nella trombosi e embolizzazione dell’arteria oftalmica.
- Le embolie di provenienza cardiaca costituiscono un evento patogenetico di frequente riscontro. Le due affezioni cardiache più frequentemente responsabili di embolie cerebrali, l’infarto recente del miocardio e la stenosi mitralica reumatica, danno luogo il più delle volte a veri e propri ictus irreversibili ma possono essere talora all’origine di TIA. Altre affezioni potenzialmente emboligene sono il mixoma dell’atrio , le endocarditi batteriche , il prolasso della mitrale (quest’ultimo da sospettarsi soprattutto nei TIA che insorgono nei pazienti di età inferiore ai 45 anni).
- Le embolie arterio-arteriose (artery to artery emboli) sono senza dubbio la causa più frequente dei TIA. Gli emboli sono costituiti da ammassi piastrinici più fibrina o da materiale staccatosi dalla placca ateromatosa ulcerata (cristalli di colesterolo e frammenti di intima necrotica). Questi emboli si staccano dai distretti dove, come si è visto, più grave è il processo arteriosclerotico, soprattutto dalla carotide interna alla biforcazione.
- I disturbi della coagulazione e la trombocitosi possono essere responsabili di ischemie transitorie. Situazioni di alterata coagulabilità possono avverarsi in corso di terapia estroprogestinica, nel post partum o nel periodo postoperatorio, nei pazienti affetti da tumore. Aumento delle piastrine circolanti e della loro aggregabilità si osservano nella policitemia vera, nella trombocitemia idiopatica e in corso di malattie mieloproliferative.
- Un fattore patogenetico non trascurabile è costituito dalla compressione sulle arterie vertebrali causata da osteofiti degli spazi uncovertebrali in soggetti con spondilosi cervicale grave Il meccanismo lesivo può consistere in una vera e propria compressione delle arterie vertebrali (soprattutto in occasione di brusche rotazioni del capo) o essere mediato da una alterazione della parete vasale che favorisce la formazione di ateromi. Sempre più frequentemente vengono segnalati casi di TIA (ma anche di ictus) in cui la concausa può essere individuata in malaccorte manipolazioni chiropratiche.
Clinica dei TIA
Essendo i TIA per definizione episodi che si risolvono entro 24 ore, è abbastanza comune il fatto che i pazienti vengano sottoposti a visita neurologica allorché la sintomatologia è interamente regredita. Lo strumento anamnestico rimane in questi casi l’unico mezzo diagnostico a disposizione del medico. D’altra parte la scarsa specificità di taluni sintomi (che possono essere causati da TIA nel territorio vertebrobasilare) come gli episodi di vertigine, o di nausea, la perdita di coscienza; la diplopia non possono essere ascritti tout court a una ischemia transitoria ma devono essere valutati nell’ambito di una successione di eventi.
Impossibile può essere la definizione diagnostica in presenza di un episodio monosintomatico isolato.
TIA nel territorio carotideo.
- Disturbi di moto (monoparesi, emiparesi, paresi facciale)
- Disturbi sensitivi (ad un arto, ad un emisoma, ad un’emifaccia)
- Amaurosis fugax
- Afasia
- Disartria
- Cefalea
TIA nel territorio vertebro-basilare.
- Disturbi campimetrici (emianopsie o emianopsie doppie)
- Vertigine
- Parestesie
- Diplopia
- Paresi
- Nausea
- Cefalea
- Disartria
- Perdita di coscienza
- Allucinazioni visive
- “Drop Attacks”
- Amnesia globale
Questo elenco di sintomi non richiede un’illustrazione dettagliata se non per alcuni aspetti specifici. Da notare anzitutto che possono osservarsi casi misti con TIA in entrambi i territori e con alternanze di sintomi dell’uno e dell’altro gruppo. I TIA nel territorio carotideo sono i più frequenti (oltre il 75% dei casi) ed hanno una sintomatologia che tende di solito a manifestarsi, con notevole costanza, ad un emisoma. I TIA nel territorio vertebro-basilare possono dare più frequentemente sintomi “a bascule” che coinvolgono di volta in volta l’uno o l’altro emisoma; essi inoltre possono manifestarsi con sintomi da compromissione di strutture mediane come per esempio i “drop attacks”.
Queste cadute improvvise per il subitaneo cedimento degli arti inferiori sono dovute ad ischemia di entrambi i fasci piramidali nel loro decorso nel piede del tronco encefalico per deficit irrorativi delle arteriole perforanti brevi che nascono dall’arteria basilare. Devono essere distinte dalle cadute che si possono avere per perdita di coscienza (l’elemento che le distingue è appunto la conservazione della coscienza).
Un quadro clinico complesso e clamoroso è quello dell’amnesia globale transitoria I pazienti che ne sono colpiti presentano improvvisamente una perdita della memoria retrograda ed anterograda della durata di minuti o di ore (raramente di qualche giorno). Vi è successivamente un recupero completo della memoria ma permane una lacuna mnesica della durata dell’intero episodio. Il più delle volte il medico è chiamato a valutare anamnesticamente questo episodio a sintomatologia regredita.
Talora è dato di osservare il paziente durante l’episodio e si può allora constatare come il paziente presenti unicamente l’incapacità di fissare nuovi ricordi: egli continua a chiedere agli astanti notizie sulla sua identità, su che cosa stia facendo, su dove e perché egli si trovi in quel particolare luogo, mentre è in grado di individuare e riconoscere le persone conosciute, il suo discorso rimane coerente e non presenta deficit delle funzioni simboliche. Benché la patogenesi vascolare transitoria sia verosimilmente la più fequente (“ictus amnesique” degli Autori francesi) si impone la diagnosi differenziale con altre situazioni patologiche che coinvolgono i lobi temporali (tumori, intossicazioni, focolai epilettici).
Prognosi dei TIA
Benché la nozione che i TIA ripetuti costituiscano il preludio di un ictus irreversibile sia ormai generalmente accettata, una quantificazione del rischio, che tenga conto delle diverse patogenesi dei TIA è tuttora mancante. I follow-up più documentati stabiliscono che dopo il primo TIA il rischio dell’insorgenza di ictus è di circa il 6% per anno con un rischio maggiore entro i primi 3 mesi. La tromboembolizzazione retinica sembra avere una prognosi peggiore: studi longitudinali di sopravvivenza stabiliscono che il 15% di questi pazienti muore entro il primo anno ed il 54% entro il settimo anno.
Terapia preventiva del TIA
L’importanza dei TIA quali indicatori di rischio per l’instaurarsi di un rammollimento cerebrale fa sì che questo quadro clinico costituisca un momento di grande importanza per un intervento terapeutico preventivo. Tutti i fattori di cui si è, in altra parte di questo capitolo, dimostrata la importanza nella patogenesi dei TIA, dovranno essere presi in considerazione in ogni paziente per adattare la terapia alle esigenze del soggetto in esame.
Ricordiamo che seppure la patologia dei vasi del collo (con la possibilità di stenosi od occlusioni vascolari, di alterazioni della parete arteriosa stessa fonte di fatti trombo embolici “da arteria ad arteria”) rimane l’elemento patogenetico più importante, non va dimenticata la possibilità di un’origine cardiogena di emboli (quale si può verificare in caso di infarto, di stenosi mitralica, di fibrillazione atriale, di turbe della conduzione, di prolasso della mitrale). È chiaro che un aspetto fondamentale della terapia sarà la correzione di tali fattori patogenetici e correggere quei fattori di rischio (come l’ipertensione, il diabete, l’obesità, l’iperuricemia) che, come si è visto, svolgono un ruolo di primaria importanza nella patogenesi dei TIA.
La terapia specialistica dei TIA utilizza fondamentalmente farmaci antiaggreganti ed anticoagulanti. Fra i farmaci del primo gruppo l’acido acetilsalicilico (ASA) merita la prima citazione. Come è noto l’ASA è il farmaco con il quale sono stati condotti i primi studi controllati su un grande numero di pazienti per valutarne la efficacia terapeutica. Tale efficacia è stata dimostrata in modo incontestabile anche se non vi è ancora pieno accordo circa le dosi da impiegare. Le dosi oltre 1 g/die impiegate nei succitati studi controllati non sembrano oggi giustificate, anzi potrebbero ridurre l’efficacia del farmaco oltre a rendere più evidenti gli effetti tossici dose-dipendenti. Si preferisce oggi un dosaggio attorno ai 3 mg/kg/die (circa 200 mg per un soggetto di 70 kg) che si possono somministrare in un’unica dose. Si dovrà naturalmente far attenzione all’eventuale tossicità dose-dipendente: gastrotossicità, tendenza alle emorragie, tossicità renale (dubbia). È consigliabile aggiustare la dose da impiegare in base ai test di disaggregazione piastrinica che è ora possibile eseguire in laboratori particolarmente attrezzati. La terapia antiaggregante, se la sintomatologia neurologica non recede, va continuata definitamente.
Qualora non sia consigliabile, per vari motivi, la somministrazione di ASA, altri farmaci ad attività antiaggregante utilizzabili in terapia sono:
- il dipiridamolo blocca in vitro l’aggregazione piastrinica indotta dall’ADP; esso possiede inoltre una modestaazione vasodilatatrice. Può essere impiegato da solo (300 mg/die per os) o in associazione con il sulfinpirazone , ha proprietà antiaggreganti che possono essere sfruttate in terapia. Va ricordato che studi clinici controllati non hanno dimostrato la sua reale efficacia nella prevenzione dei TIA. Si impiega alla dose di 300-600 mg/die a dosi refratte;
- la ticlopidina è dotata di effetto antiaggregante in vivo . L’effetto terapeutico nella prevenzione dei TIA viene dedotto da questa premessa farmacologica e non è stato ancora dimostrato con prove cliniche controllate. Si impiega alla dose di 250 mg 2 volte al giorno. La sua tollerabilità ne fa una possibile alternativa all’ASA.
- l’altro indirizzo terapeutico è rappresentato dagli anticoagulanti. I farmaci impiegati sono la warfarina (dose iniziale di 40 mg/die) o il fenindione (dose iniziale di 200 mg/die) con successivo aggiustamento della dose regolandosi sul tempo di protrombina che deve aggirarsi su valori del 20% rispetto a quelli basali.